FROM
HARGEISE TO BERBERA (email in Italian)
-------------------------------------------
09 Oct 2007
Lalibela (Ethiopia)
C'e' una terra Africana incastrata tra il Djibouti,
l'Ethiopia e l'ex italiana Somalia, che stufa delle
continue guerre, 15 anni fa si e' dichiarata indipendente,
rubando il territorio proprio alla Somalia.
Non si tratta di pochi metri quadrati visto che spazia
su un'area piu' grande del Nord Italia e conta alcuni
milioni di abitanti.
L'hanno battezzata Somaliland, hanno definito i propri
confine, una capitale (Hargeisa), una bandiera, un
governo, un esercito, un'universita' e coniano (in
India) pure una propria moneta.
Inoltre come se non bastasse si sono messi anche a
distribuire gli ambasciatori per il mondo. Piccolo
particolare nessuno, UN compresa, ha mai riconosciuto
lo stato del Somaliland, e quindi risulta uno stato
fantasma, ma allo stesso tempo esiste eccome.
Come resistere alla tentazione di metterci piede?
Sto camminando nervosamente per la brutta periferia
della capitale Ethiope. Un tipo in rete mi ha fornito
delle indicazioni dettagliate, ma mi sembra di essermi
gia' perso.
La via dovrebbe essere quella giusta, intendiamoci,
non certo perche' abbia un nome o un numero civico.
Cerco un cancello nero.
Ne trovo uno, penso sia quello giusto; busso.
Manca che debba dire la parola d'ordine e lo show
sarebbe completo. Apre un tipo e quasi mi vergogno
a dirgli che sono qui per il visto del Somaliland.
A me sembra piu' che altro una casa privata. Lui fa
un cenno e mi accompagna in una stanza. Arriva un
tipo, immagino il saccente ambasciatore del Somaliland,
e mi fa un po' di domande. Ha l'aria simpatica ed
e' entusiasta di dirmi che e' uno dei paesi piu' belli
e sicuri al mondo. Mi trattengo dal ridergli in faccia,
ma anche lui se la schiattava nel dire una simile
cazzata.
Non molto dopo mi trovo in viaggio verso il punto
di confine Somalo orgoglioso del mio bel visto. Nessun
commento sul fatto che tra una sfiga e l'altra (il
mio zainone e' stato perso e l'ambasciata del Dijbouti
di ha sbattuto fuori 3 volte consecutive) ci abbia
messo ben tre gg ad arrivarci.
La capitale Somalilandese Hargeisa e' tremenda: un
cittadone enorme con tanto di boulevard principale
a 2 corsie, ma neppure un metro quadrato asfaltato.
Piove tutti i giorni e in pochi minuti c'e' una spanna
di fango ovunque.
Noto subito un' assurdita': il posto guida e' sulla
destra come in Inghilterra, ma guidano tenendo la
corsia di destra come in Italia. Hanno anche il monumento
nazionale: un MIG Somalo abbattuto che ora fa bella
mostra nella piazza centrale. Tutt' intorno raffigurazioni
di bambini con braccia e gambe amputati: terribile!
Sembrano aver visto davvero pochi bianchi ultimamente
e rimango un po' stranito nel vedere persone fermarsi
con la macchina in mezzo alla strada per salutarmi,
chiedermi da dove venga e dirmi che il Somaliland
e' safe. Piu' persone saluto piu' persone si avvicinano
e allora mi affretto a cercare un posto dove dormire.
Nessuno che mi chieda una lira, intendiamoci, semplicemente
tanta curiosita' di comunicare. Niente razzismo verso
di me e niente piu' stronzi Etiopi che ti urlano Faranjii
(bianco) quando cammini per strada.
Cerco per strada un tipo che mi cambi 100$, chiedo
solo banconote del massimo taglio e infatti mi da
1.200 (dico milleduecento) banconote di Shillings
Somalilandesi.
E dove diavolo li metto?
E' come avere 12.000 euro in banconote da 10 euro!!
Riempio completamente lo zainetto, ho soldi da tutte
le parti e mi sento un camioncino portavalori!
Il giorno dopo decido di raggiungere
la costa, in particolare la citta' portuale di Berbera
proprio di fronte allo Yemen, a poco meno di 200km
da Hargesia. Avevo gia' in tasca una serie di dritte,
tra cui la certezza che la strada fino alla costa
fosse sicura e che ci arrivasse qualche sorta di mezzo
pubblico.
Mi indicano la macchina (non un minibus!!) che parte
per Berbera. A che ora non si sa, perche' parte solo
quando e' piena. Ci stanno 3 persone davanti, 4 dietro
e 2 nel baule, insieme ai bagagli ovviamente, che
per qualche strana fobia non vogliono mettere sul
tetto. Quando partiamo in tutto siamo in 9. In quanto
l'ospite d'onore, ho ben visto di piazzarmi davanti,
evitando l'opzione baule.
Dopo qualche km ci ferma un posto di blocco. I militari
discutono animatamente sul da farsi con lo straniero
biondo e dopo pochissimo mi ritrovo in caserma. Intorno
a me una trentina di persone che mi osservano e commentano
tra di loro. Finalmente dalla porta entra un tipo
di una certa eta' con un'uniforme stranamente pulita,
qualche stelletta appesa e varie cordicelle penzolanti.
Prende in mano il passaporto, scruta il visto, alza
lo sguardo e, con aria decisa, mi dice:
"Sorry Mr Alberto ma non puo' proseguire se non
e' accompagnato da una scorta"
Io controbatto:
"Cosa!??! Ma il Somaliland e' il paese piu' sicuro
al mondo, me l'hanno detto anche all'ambasciata in
Ethiopia!"
Abbiamo discusso per mezz'ora sul fatto che lui mi
lasciasse proseguire.
Sapevo che il problema principale per loro fosse non
compromettere la loro reputazione internazionale e
quindi anche se non ci sono dei veri pericoli, sono
ossessionati all'idea che possa accadere qualcosa
ad uno straniero in Somaliland. Avevo intuito che
fosse un po' indeciso e contavo sul far breccia proprio
sul suo dubbio. Infatti poi ho puntato sul suo orgoglio
'Somalilandese': e' bastato dirgli che se mi avesse
fermato io non avrei potuto vedere le bellezze del
suo paese e promuoverle nel mio, che improvvissamente
se ne' uscito con un "OK you go go, no problem".
Mi ha scritto una lettera di lasciapassare (su mia
insistenza) e mi ha garantito che avrebbe contattato
via radio gli altri check point per farmi passare.
Se c'e' un responsabile di tutto il casino che e'
successo dopo e' sicuramente lui. Un militare che
occupa un posto di commando non si puo' permettere
di farsi convincere da un bianco biondo curioso che
ha la meta' dei suoi anni.
Avrebbe dovuto dirmi di no e rimandarmi indietro!
Tutti e nove ripartiamo. La strada e' assolutamente
deserta e semi-asfaltata, cosi' l'auto sfreccia a
buona velocita'. Intorno a me un paesaggio lunare
con tante palme, dromedari vaganti e brucanti, qualche
semplice guado, qualche villaggio di una miseria sconfortante
e una paio di carcasse di carro armato che avevano
l'aria di aver fatto piu' di una guerra.
Passati non piu' di 40 km che ci imbattiamo in un
altro posto di blocco.
Tra i militari e il guidatore inizia una certa discussione.
Lui tira fuori il lasciapassare. Loro lo prendono
e si allontanano. Dopo un po' ritornano e glielo buttano
letteralmente in faccia. Allora scendo dall'auto e
tento di spiegargli che loro dovrebbero contattare
la caserma della capitale per avere la conferma. Ma
non mi sembrano molto entusiasti del suggerimento.
Aspetto un po' che qualcosa succeda ma non succede
nulla. I miei compagni di viaggio Somali iniziano
ad innervosirsi e in particolare la piu' agitata e'
una grassa donna Somala che siede proprio dietro di
me.
Insisto nel voler parlare con il loro capo e mi portano
da un militare seduto a gambe incrociate su un tappettino
sotto un albero.
Lui mi fissa per un attimo, poi se ne esce con:
"You are a journalist! We don't want journalist"
"Se pensi che io sia un giornalista, controlla
il mio zaino e vedi se trovi anche solo un appunto!"
In realta' non era una buona idea perche' se avesse
controllato avrebbe trovato lo zainetto strapieno
di soldi (1.200 banconote del massimo taglio) e in
una terra che pullula di contrabbandieri non e' una
bella cosa., ma ovviamente non ha controllato.
Lui scuote la testa ed e' irremovibile e mi dice che
quella sbarra (che altro non e'che un palo della luce)
non si alza. Insisto, ma non serve.
Torno in auto e la donna grassa continua a rompermi
le palle.
Non passa molto che vedo un passaggio di cellulare
tra i militari. Sento il tipo dello zerbino urlare
qualcosa, il guidatore improvvisamente mette in moto,
alzano la sbarra, e ripartiamo.
Non ho capito nulla ma va bene.
Avvicinandoci alla costa il paesaggio diventa sempre
piu' lunare ed ogni tanto dal nulla si eleva qualche
collinetta alta un centinaio di metri dalla forma
incredibilmente regolare.
La macchina sfreccia per un'ottantina di km, finche'
di nuovo una sbarra a forma di palo della luce ferma
la nostra corsa. Qui sono meno gentili e in piu' fa
un caldo bestiale. Non c'e' piu' l'aria fresca e la
pioggia della capitale, ma bensi' un vento rovente
che non aiuta la mia pazienza.
Non ho piu' neppure il lasciapassare perche' se le'
tenuto il tipo dello zerbino che mi dava del giornalista.
Ora chiedo subito di parlare con il capo. Sicuramente
non puo' essere ancora un tipo sotto un albero perche'
di alberi non ce ne sono. Sorpresone, mi fanno entrare
in una baracca. Dentro il pavimento e' di terra battuta
e c'e' un materasso, su cui e' sdraiato un uomo tutto
sudato; parla a bassissima voce e mi devo avvicinare
per sentirlo. Fa chiudere la porta e mi guarda come
in attesa di una confessione.
Io cerco di rompere un po' il ghiaccio con una battuta,
ma lui non sembra molto in vena di cabaret:
"Mister I know you are from 'SI AI EI' "
Io raggruppo i pochi neuroni non ancora arroventati
dalla calura e realizzo che sto qui pensa io sia della
CIA.
Senza meditarci troppo, esordisco:
"pensi che se io lavorassi per la CIA mi sposterei
su un auto con schiacciato tra 9 somali?!"
Lui con un tono sicuro:" Certo che si"
Io rimango interdetto senza parole.
Poi aggiunge: "meta' dei bianchi che passano
di qui lavorano per la CIA perche' l'America pensa
che questa possa diventare una nuova base di Al Queida.
Sorry da solo di qui non passi'
Mi prende lo sconforto perche' qualsiasi prova avrei
potuto portare a favore del fatto che io non sia della
CIA, sarebbe stata contemporaneamente la migliore
delle coperture. Nel frattempo anche da dentro la
baracca sento la grassa somala che insulta tutto e
tutti. Quello che e' un tragitto di al max 2.5 ore,
sono diventate 5 a cuocere sotto il sole.
"Va bene, non ti posso dimostrare che non sono
della CIA, torno indietro!"
Ovviamente se fossi dovuto tornare indietro avrei
dovuto farlo con la macchina con cui ero arrivato.
Ora a quasi 200 km di distanza ero proprio curioso
di vedere come i militari gestivano la cosa. Certo
era che non si tenevano una gatta da pelare come un
bianco a passare la notte con loro, ed ero sicuro
che i 9 somali si sarebbe rivoltati in gruppo: infatti
cosi' e' stato. A capo della protesta adesso non ero
piu' io, che me ne stavo seduto in auto a mangiare
una banana, ma la grassa somala che sbraitava spalleggiata
del guidatore che ci avrebbe rimesso ovviamente tutti
i soldi !!
Hanno dato filo dal torcere al tizio del materasso
che mi deve aver odiato assai. Dopo un po' e' stata
trovata la soluzione: un soldato armato sarebbe venuto
con noi.
Io subito intervengo, "Va bene, ma dove diavolo
lo mettiamo?" .
Loro mi guardano come si guarda uno scemo e poi girano
lo sguardo verso l'auto.
Tre min dopo ripartiamo non piu' in nove ma in dieci,
con il militare (e il suo Kalashnikov) insieme con
gli altri 2 nel baule. Questa e' la prova scientifica
che il corpo umano sia comprimibile!
Finalmente arriviamo a Berbera che e' oramai sera.
Il guidatore diligentemente mi porta subito alla caserma
per registrarmi e poi trovo un posto da dormire.
Faccio un giro per la citta', vado a vedere il mare:
esattamente in questa zona il Mar Rosso si mischia
con l'Oceano Indiano, creando un ambiente esotico
che contrasta incredibilmente con le enormi carcasse
di petroliere che dominano l'orizzonte in prossimita'
del porto.
Magari un domani in cui lo scontro delle civilta'
islamico- cristiana suonera' solo 'vintage', un po'
come lo suona ora la passata guerra fredda, qui ci
sara' un villaggio turistico. Gia', chissa': per ora
verso Nord le prima chiappe bianche a prendere il
sole sono quelle in Egitto a 3000km da qui , scorrendo
la bellezza e la miseria delle coste Eritree e Sudanesi.
Verso Sud non ci sono molti Km per entrare nella zona
piu' distrutta e feroce del mondo: l'ex colonia italiana
Somala, dove Mogadishu e' una Baghdad senza neppure
la 'green zone' e neppure il governo osa risiedere
nella capitale.
Ho fame, ho voglia di pesce e trovo un posto carino
sul mare. Sto ancora leccando un bel liscone, quando
arriva un gruppo di uomini con uno in abiti quasi
tradizionali. Io dentro di me mi domando se sia arrivato
il circo, ma poi intuisco un'aria seria. Il tipo in
costume da carnevale mi fa delle domande., gli altri
stanno intorno. Io subito gli dico con tono un po'
strafottente che non sono giornalista e non sono della
CIA. Lui sorride, prende il cellulare e inizia a telefonare.
Parla in Somalo, ma intuisco che mi sta descrivendo,
mi guarda i capelli, i vestiti,
Io nel frattempo sono ancora impegnato con la lisca
del mio pesce. Arriva Ali, il proprietario del ristorante,
che avevo conosciuto poco prima. Mi sembra un po'
agitato e tiene la testa china. Si avvicina e mi parla
nell'orecchio:
"hai davanti il comandante responsabile di tutta
questa regione costiera del Somaliland, porto e aeroporto
incluso".
Subito mi spiace di averlo un po' ignorato, mollo
la lisca e giro la sieda verso di lui. In quel momento
lui finisce la telefonata, scambia due frasi con uno
dei suoi uomini, si alza, mi stringe la mano e il
plotone se ne va.
Io come al solito non ho capito nulla.
Adesso quello agitato sono io e interrogo Ali.
"Mr Alberto, il comandante ha detto che non gli
interessa a che ora tu vada a dormire, che strada
tu faccia, a che ora ti alzi domani mattina e dove
tu vada, ma, finche' rimani nella sua regione, qualsiasi
cosa tu faccia ci deve essere sempre un occhio su
di te".
"Bene", penso "adesso, come non mai,
posso veramente fare i sogni d'oro"
Riaddocchio la mia lisca e me ne rimpadronisco.
Alby
|